Come volevasi dimostrare




Le infuocate polemiche suscitate da un recente articolo di Camillo Langone su Libero quotidiano.it possono essere prese a unità di misura per dimostrare almeno tre cose.
Camillo Langone
La prima è che quando i numeri e le statistiche evidenziano dati di realtà che alle femministe ed ai femministi dispiacciono, se ne imbroglia il significato sino a trasformarne il senso logico, secondo quel noto principio strategico di derivazione marxista per il quale se i fatti contraddicono la teoria tanto peggio per i fatti.
La seconda è che per trasformare la realtà uniformando i fatti alla teoria c’è comunque bisogno che lo facciano le strutture di potere, i sacerdoti della pianificazione sociale, i progettisti della vita collettiva; insomma, si legittima l'intrusione della politica nei meandri della vita privata, con lo sconfortante e triste risultato di far subire agli individui velleitarie sperimentazioni sociologiche a caro prezzo.
La terza è che la natura umana può essere forzata e costretta quanto si vuole dai demiurghi della politica manipolativa, ma superata una certa soglia, la natura di cui siamo composti non fa altro che presentarci un altro tipo di conto, che sarà tanto più salato quanto più avremo spostato artificialmente quei confini ai quali siamo naturalmente destinati.

Per spiegarmi meglio, la realtà osservata e descritta da Langone non è solo il già noto e preoccupante calo demografico europeo - e italiano in particolare – con indici di natalità che nel nostro Paese hanno raggiunto il livello di decremento stabile della popolazione autoctona di 1,32 figli per donna.
A questo dato il giornalista aggiunge quelli di altre ricerche demografiche, secondo le quali gli indici di bassa fertilità sono direttamente correlati agli indici di scolarizzazione femminile; laddove sono più alte le opportunità di studiare e prepararsi ad un eventuale inserimento qualificato nel mondo del lavoro, lì le donne smettono di fare figli o posticipano sine die la prima gravidanza, spesso sino ai limiti estremi delle possibilità biologiche.
Riassumendo molto, si potrebbe concludere che il drastico calo della natalità è intimamente, chiaramente e statisticamente correlato ad alti livelli di emancipazione femminile; più le donne mirano all'indipendenza personale, meno figli fanno.
Anche questo è uno di quei fatti che tutti sapevamo perfettamente già a livello intuitivo, ma che - Langone ci ricorda semplicemente questo - è stato anche avvalorato e suffragato da specifiche indagini di demografia comparata.
Insomma, è un po' come se tu vai dal medico e quello ti conferma che, effettivamente, se continui a scolarti mezza bottiglia di whisky al giorno sei destinato a crepare di mal di fegato; poi, se tu vuoi liberamente crepare di mal di fegato è affar tuo ma non puoi certo negare l'esistenza della correlazione tra i due fatti, perché il medico - con la sua scienza, non con le sue opinioni personali - te lo ha certificato dati alla mano.

Le reazioni, dicevamo.
La prima, quella che Langone ancora non aveva smesso di battere sui tasti ed era già arrivata sulle colonne del Fatto quotidiano, è il «no, non è vero» di cui alla nostra prima dimostrazione.
Mica è vero che il prezzo dell'emancipazione femminile è il drastico calo delle nascite, ma potrebbe anche essere - dice il solerte articolista di sinistra, testualmente - «...che le donne più acculturate rimangono nubili perché non trovano uomini sufficientemente interessanti.»
Popper li ha chiamati «schemi secondari»; ossia, imbrogliare le carte inventandosi teorie strampalate e indimostrabili pur di contraddire un'evidenza di ricerca conclamata ma scomoda.
Insensato, sciaguratamente aleatorio ma completamente verificabile al relativo link e più che dimostrativo di un certo modo artefatto e manipolativo di interpretazione dei dati abitualmente praticato a sinistra (questo lo dice l'autorevole e progressista Ricolfi, non io).
Selvaggia Lucarelli
La seconda reazione, meno infantile della prima ma non per questo più ragionevole, è il classico richiamo alla stampella dei poteri pubblici, interpretato per l'occasione da Selvaggia Lucarelli dalle stesse colonne di Libero.
A differenza dello sconclusionato femminista del Fatto, la show-girl in formato giornalistico lo ammette: «...noi donne facciamo meno figli per preservare quell’irrinunciabile diritto alla libertà (di studiare, lavorare ed essere individui) che con fatica ci siamo conquistate.»
Dimenticandosi però di ricordare che il prezzo di questa libertà femminile è a carico di tutti, perché naturalmente ciò che la Lucarelli vorrebbe come garanzia per non dover scegliere tra essere madre o essere altro è più welfare; quindi più tasse e balzelli, più vincoli burocratici, più ragnatele normative e, soprattutto, più debito pubblico in un contesto nel quale l'intera Europa sta per implodere esattamente di questo male.
Facile, insomma, fare le emancipate sulle spalle degli altri; difficile esserlo veramente contando sulle proprie forze (...do you remember Costanza Miriano?), senza invocare continuamente mamma-stato, pianificazioni sociali di favore o mutazioni antropologiche maschili ideologicamente pilotate.
Il terzo elemento dimostrativo traspare, neanche troppo velatamente, dalle reazioni osservate nel loro complesso come elemento comune e unificante.
Tacciare una ricerca demografica di "maschilismo" significa rinunciare a voler capire che le procedure della ricerca non sono mosse da intenti autoritari ma da quelli ideologicamente neutrali della conoscenza, compreso quel «conosci te stesso/a» socratico che spaventa tanto le femministe e quella strana, patetica e desolante genia che sono i femministi.
Ora, si possono confondere facilmente i fatti con le opinioni, spesso torna pure comodo; ciò non toglie che i fatti restano fatti e le opinioni restano nel limbo delle interpretazioni soggettive in qualità di opinioni, appunto.
E il fatto è, indubitabilmente, che la nostra è una società invecchiata, con un futuro problematico e incerto e senza un adeguato ricambio generazionale, perché le donne hanno messo la maternità agli ultimi posti della loro graduatoria di valori; il che non è certo colpa del "maschilismo" ma delle loro scelte soggettive.
Ma, come ricorda Langone, il principio dell'horror vacui non consente alla natura di rimanere inerte ad aspettare la maturazione dei popoli; semplicemente li sostituisce con popolazioni più prolifiche e meno problematiche, che è esattamente quello che sta succedendo qui in Italia.
A qualcuno tutto questo dà motivi di preoccupazione?
A me no, perché sono come quello che preferisce consapevolmente crepare di mal di fegato piuttosto che barattare la propria libertà con qualche tecnica di sopravvivenza socio-sanitaria.
Ciò che invece mi preoccupa, ma non a livello sociale, bensì a livello personale, sono le ladre di sperma.
Quelle alla Liz Jones che parlano candidamente della «corsa segreta alla maternità, quando non si ha più vent’anni né trenta, quando non si credeva che all’improvviso sarebbe esplosa una bomba nel cervello» e, quindi, trovano normale rubare lo sperma di nascosto per colmare quel vuoto che la natura non riesce proprio a tollerare.
Ecco, quelle non solo mi preoccupano, ma mi indignano e le considero personaggi inquietanti e indegni.
Perché hanno barattato la propria dignità, la propria onestà e la propria autenticità con una tecnica di affermazione personale.
E si nascondono dietro al femminismo come giustificazione di tutto.
Come volevasi dimostrare, appunto.