Ipocriti




Fa veramente rabbia.
Devono succedere le tragedie perché termini desueti, dequalificati e sospesi dal frasario corrente come “virilità” e “onore” vengano ipocritamente rispolverati e messi in bella mostra nelle cronache quotidiane, stavolta come roba buona.
Adesso è tutto un fiorire di compiacimenti per il grintoso «cazzo» con il quale il capitano De Falco apostrofava al telefono il povero Schettino durante la sciagura del Costa Concordia; è tutto un parteggiare per la risolutezza dell’uno messo a confronto con il balbettìo dell’altro, per il cazzo duro contro il cazzo moscio.
La determinazione fallocrate, con tutto il corollario di impacci linguistici e comportamentali impresentabili e ingestibili è improvvisamente resuscitata, riemersa, riabilitata, ricomposta dal nulla in cui era stata precipitata, come se nessuno l'avesse mai maltrattata, negata, espulsa dal novero dei comportamenti ammessi.
Adesso.
Servono eroi, adesso, perché incombe il pericolo e la salvezza è un diritto del cliente; pure quello.
L’obbligo di essere eroi a comando, magari a contratto, è come l’obbligo di essere uomini.
Mica sempre, solo al momento giusto, quando serve.

Se non serve puoi essere pure un pagliaccio, un giullare o un finocchio impaurito, che tanto non gliene frega niente a nessuno; anzi, meglio se fai il giullare, il pagliaccio o il finocchio impaurito, che è più trendy e women frendly.
Gli eroi, l’onore, il coraggio, la decisione, la virilità fanno schifo tutti i giorni.
Tranne quel giorno, quando si scopre che è tutta roba che serve ma che in circolazione c’è n’è poca, perché il circo Barnum del «progresso» va da decenni da un’altra parte e se non ci vai insieme sei un maschilista o un esaltato.
Pure l’ultima, scipita commessa dei centri commerciali si sente autorizzata a giudicare il tuo machismo, la tua idoneità alla maschilità sostenibile, progressive ed ecocompatibile.
Ma non adesso, che pure l’ultima, scipita commessa dei centri commerciali si infervora per quel tono militaresco e marziale, condito con un bel «cazzo» come apoteosi della rassicurazione maschia sull'incertezza collettiva e sul panico incombente.

Beh, io lo voglio dire alto e forte.
Sto dalla parte del povero Francesco Schettino, già condannato dalla massa amorfa per viltà, codardia e abbandono della nave.
Non sto con lui perché mi piacciano i deboli o faccia il tifo per loro; ma perché mi fanno schifo i giustizialisti del giorno dopo.
Quelli che sino a un’ora prima sputavano sul coraggio e un’ora dopo sputano sulla paura con impegno altrettanto isterico.
Quelli che vanno sempre alla ricerca delle responsabilità come bounty killer, gli alfieri buffoni e vaniloquenti della vendetta popolare e del risarcimento garantito.
Quelli e quelle che «virile è brutto» ma non adesso, perché adesso serve papà che corre e rischia, perché adesso è brutto chiamarsi Schettino, che non ha voluto fare del sacrificio la sua ragione di vita.
Sto con lui perché ha diritto alla difesa, a dare le sue ragioni, ad essere ascoltato prima di essere buttato nel tritacarne elettronico dell’incoerente, oscena rabbia popolare.
E sto anche dalla parte di De Falco, che non è un controsenso.
Perchè in questa brutta storia, in ogni brutta storia, in prima linea davanti al pericolo, alla paura, al buio, alla morte e al sacrificio ci stanno sempre e solo uomini, con i loro pregi e i loro difetti, ma solo loro.
Le donne mai.

Quelle stanno sempre al sicuro ma dicono di avere solo pregi.
Se lo dicono da sole.
Però piangono a dirotto per le pensioni e per tante altre cose, la maggior parte irrilevanti.
E per lo sdilinguagnolo sentimental-politico-intellettual-televisivo delle solite, lamentose beghine che "adesso" - in quell'adesso così unico - volevano quello che normalmente condannano, rifiutano e rigettano come indigeribile.
Che ipocrisia del «cazzo»!