Può essere che mi sbagli







Può essere che mi sbagli.
Tuttavia, da un'attenta lettura dell'articolo che Fabio Nestola ha pubblicato sul sito Adiantum nella giornata di mercoledì, non si riesce davvero a sfuggire l'impressione che l'autore ce l'abbia proprio con questo blog e, più in particolare, con l'articolo «Sulla violenza femminile» redatto dal sottoscritto lo scorso 8 dicembre.
Nel testo della sua requisitoria, che sfocia addirittura nell'accusa di far parte di «uno sciame inferocito» proteso a «delegittimare l'indagine» sulla violenza a danno maschile, i riferimenti sono talmente espliciti e diretti, l'utilizzo dei termini e la natura dei contenuti tanto attinenti e chiari che è obiettivamente difficile si tratti di un'interpretazione errata o di una mera casualità.
Fabio Nestola è, peraltro, uno degli autori dell'indagine in questione ed è quindi del tutto naturale che difenda il proprio operato; il punto è che sbaglia obiettivo.
Nell'affermativa dunque una risposta si impone, non per alimentare una polemica che sarebbe completamente priva di senso ma per un diritto/dovere di chiarezza nei miei e nei suoi (loro) riguardi, oltre che a beneficio, comunque, di tutti i lettori che vogliano realmente comprendere i termini della questione.
Anche nell'improbabile caso negativo - ossia che Nestola non pensasse affatto a questo blog quando ha espresso tutta la sua contrarietà - la risposta sarà servita comunque a dare precisazioni ulteriori che nell'articolo precedente non hanno (volutamente) trovato spazio.
Vengo al punto.
Nel commentare la ricerca condotta dal pool di ricercatori coordinati (per quanto ne possa sapere io) dal Prof. Macrì mi sono avvalso di un criterio elementare della conoscenza scientifica e non scientifica, universalmente accettato da millenni come fondamento ultimo del sapere occidentale nella sua interezza e compiutezza logica: l'aristotelico principio di non contraddizione.
Che è quello secondo il quale non è possibile che una cosa allo stesso tempo possa essere e non essere.
O è o non è.
Le due cose contemporaneamente non sono possibili, dice giustamente Aristotele ancora oggi, con una voce che riecheggia a noi dal IV° o V° secolo avanti Cristo (non ricordo con esattezza da quando) senza smentite di sorta.
Uscendo dalla teoretica e calandosi nel caso concreto di cui si discute - la violenza domestica - il principio di cui parlo impone che se si contesta la definizione vittimistica di "violenza" posta a base dell'assurda indagine ISTAT del 2006, per la quale ci troveremmo a definire atti di violenza persino la banale critica al modo di vestire, l'occasionale rispostaccia stizzita o il fare la voce grossa durante un semplice diverbio, se si dà per buona questa definizione estremizzata ed onnicomprensiva, dicevamo, entriamo in una logica completamente diversa da quella in cui ho personalmente militato sino ad oggi e nella quale continuo a riconoscermi (salvo eccezioni).
Che è quella propria del mondo del diritto.
Per cui si dà violenza quando vi sono lesioni verificabili e riscontrabili, si dà intimidazione vera quando la minaccia è tale da giustificare l'intervento degli organi giudiziari (e spesso neanche questo è sufficiente a qualificare l'attualità e la sussistenza del reato), si dà violenza privata quando lo stato di costrizione è effettivo e non immaginario o immaginato.
In altre parole o la violenza ha definizioni oggettive che ci consentano di uscire dall'indeterminatezza delle suggestioni personali, oppure ha definizioni soggettive, buone per tutte le situazioni e per nessuna.
O un certo comportamento è violenza, certa, oggettiva e indiscutibile - quindi sanzionabile nei termini del codice penale - o non è violenza.
O è o non è.
Già con la violenza sessuale siamo completamente fuori dai confini dell'obiettività oggettiva imposti dal principio di tassatività dell'azione penale e nel selvaggio mondo, appunto, delle impressioni personali; quali e quanti danni abbia prodotto questo cedimento grave ai principi della civiltà giuridica lo abbiamo imparato a conoscere attraverso il fenomeno che spaccia per stupro qualunque cosa, persino non pagare una prostituta.
Non mi sembra necessario approfondire, ne dovremmo essere tutti a conoscenza.
Pertanto, o la violenza è quella roba lì o non è quella roba lì ed allora è qualcosa d'altro.
Di più.
Per cercare di essere il più chiaro possibile mi rifaccio al concetto di femminicidio.
Per me quel concetto non esiste, è una bufala, è una falsificazione della realtà sociale, delle evidenze statistiche e dei fatti concreti.
Per questo motivo non credo neanche al maschicidio, che è a mio avviso un'altra panzana simmetrica.
Perché se dessi credito alla teoria del maschicidio finirei per legittimare, indirettamente, quella del femminicidio.
O non esiste nessuna delle due figure o esistono entrambe; sempre per il principio di non contraddizione che Aristotele ci ha insegnato da molto tempo, io dico che non esiste nulla con questi nomi.
Identico ragionamento può essere fatto per la teoria della violenza di genere che, sempre a mio giudizio, non esiste in quanto tale ma in quanto violenza dell'individuo sull'individuo.
Nella misura in cui diamo credito a quella teoria ne avvaloriamo l'esistenza e la fondatezza che, invece, a mio giudizio, non esistono da nessuna parte.
Tanto precisato, sebbene in forma estremamente sintetica, ne consegue che l'indagine sulla violenza verso gli uomini è da buttare al secchio?
Manco per niente.
Non solo non l'ho mai detto da nessuna parte ma ho anche argomentato i motivi per i quali, al contrario, si sentiva il bisogno di restituire equilibrio ad una visione dei comportamenti umani che sta rotolando rapidamente verso lo stato di psicopolizia, la soppressione preventiva dell'autenticità e la paralisi dei rapporti.
C'era assolutamente bisogno di ricordare che la donna media non è quel capro espiatorio che viene raccontato, che nella vita domestica esiste l'ostilità femminile tanto quanto quella maschile e che la condizione di inferiorità fisica viene spesso presa a pretesto per forme di imposizione della volontà subdole e sprezzanti (il classicissimo "chiagne e fotte").
L'indagine ha svolto egregiamente anche questo compito, a mio avviso.
Anche se per me parlare di "uomini violentati" è una sciocchezza rimane stabile il fatto che le donne agitano la violenza che possono agitare.
Se non lo fanno è solo perché non ne hanno la forza e le capacità muscolari, non perché siano - come vanno stupidamente almanaccando gli ideologi del "mondo nuovo" - moralmente migliori.
Tutto questo, del resto, mi sembrava espresso in forma comprensibile nell'articolo precedente.
Ma può essere che mi sbagliassi a pensarlo.
Oppure può essere che mi stia sbagliando ora.
L'unica cosa su cui sono certo di non sbagliarmi è che queste opinioni non significano in alcun modo «salire in cattedra» e mettersi a insegnare qualcosa a qualcuno.
Significa, molto più semplicemente, esprimere il proprio punto di vista su un dato argomento.
Su questo, sono certo, non mi sbaglio.